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15/11/2016

Marco Scippa e come aumentare il senso di appartenenza

Oggi lascio la parola a Marco Scippa. Ho avuto la fortuna di conoscerlo attraverso le parole di un’amica. Ne è uscita una storia fatta di innovazione e di buon senso. Un racconto di come ha attivato, nella sua azienda, un processo per evitare sprechi e dare un contributo concreto a dei giovani in difficoltà, coinvolgendo anche i suoi colleghi.  

Chi sei? Qual è il tuo ruolo? Che tipo di responsabilità hai? Di cosa ti occupi?

Mi chiamo Marco Scippa, ho 55 anni, sono laureato in Giurisprudenza e sono sposato con Lucia. Ho due figli, Mariasilvia di 24 e Michele di 20. Amo leggere libri di storia, filosofia e gialli. I miei hobbies vanno dal modellismo statico alla subacquea.  

Sono S.V.P. Human Resources Photographic Division di Vitec Group. Riporto al CEO di divisione e faccio parte del Board, partecipando a tutte le decisioni strategiche del gruppo. Mi occupo dell’organizzazione, della gestione e dello sviluppo delle risorse umane della divisione Photographic di Vitec, oltre al facility e alla sicurezza.

Puoi descrivermi brevemente come sono strutturati il team/i team con cui sei coinvolto?

Il dipartimento risorse umane della Divisione Photographic di Vitec è composto da una parte di front end e una di back end. Il front end è fatto di 3 HR Business Partner, una persona che si occupa degli stabilimenti italiani, un’altra che è responsabile dell’EMEA e dell’APAC, e una collega che si occupa delle Americhe. Il back end che ha il compito di creare e fornire gli strumenti ai colleghi che lavorano sul business, è composto da una People & Knowledge Senior Manager e un Rewarding & Reporting Senior Manager. Infine il team è completato dal Facility Manager.

Con quante persone ti capita di collaborare? Quali mansioni hanno? Che relazione si crea fra voi?

Mi confronto giornalmente con le persone del mio team, con tutti i colleghi e con il mio capo. Con tutto il personale c’è un rapporto basato sull’ascolto ed il rispetto.

La missione del dipartimento risorse umane dice: noi non gestiamo dei professionisti, ma creiamo le condizioni in cui possano “volare” e massimizzare il loro contributo all’Azienda. La relazione con il team HR mi fa pensare a due immagini prese da due grandi film: L’attimo fuggente ed Il Gladiatore. Normalmente sono il “capitano, mio capitano”, ma nei momenti topici tutti noi diventiamo come la “testuggine” della legione romana e nessuno lascia indietro il proprio compagno.

Quali pensi che siano i punti di forza che ti vengono riconosciuti?

Visione strategica, competenza a 360° nell’ambito delle HR e capacità di motivazione del team (engagement). Lasciami dire che chi lavora nel nostro team non rimane mai al palo, ma accresce sempre competenze, ruolo e autostima.

Qui invece mi racconti brevemente una tua storia di innovazione che nasce dalle persone.

Qual è il progetto di “innovazione attraverso le persone” a cui hai lavorato di cui sei più orgoglioso o quello più sfidante da affrontare?

In verità ne ho due: uno riguarda la certificazione del nostro sistema di Valutazione della Performance da parte del sindacato e dell’università.

L’altro è il progetto “Picture of Life”: la fotografia come riscatto sociale. Questo progetto porta con sé un grande coinvolgimento emotivo, per questo mi piace parlarne. Come azienda Manfrotto, abbiamo fatto grandi investimenti, realizzando per lo più attività locali e non strutturate.

Quando sono arrivato mi è stato chiesto di fare qualcosa che parlasse di noi, che ci descrivesse per quello che siamo. Un modello da esportare in altri posti.

L’idea è nata da un connubio felice di opportunità.

In magazzino avevamo 10.000 euro di materiale, nuovo, ma obsoleto, da rottamare: borse, zaini, luci e cavalletti.

Mi sono chiesto come potevo evitare il doppio spreco: doppio perché per rottamare questo materiale serve pagare una ditta esterna che se ne occupi. Per cominciare allora, a Natale, ne abbiamo regalato ai dipendenti una piccola parte.

Ma continuavo a chiedermi che attività sociale potevo fare.

Mi arriva una cartolina di auguri da parte dell’associazione Jonathan: li conoscevo, avevo già realizzato con loro progetti di recupero per ragazzi in difficoltà.

Propongo loro di dare ai ragazzi il kit del fotografo professionale, fatto con i nostri prodotti non più sul mercato, a cui aggiungiamo una macchina reflex. Macchina che noi non produciamo che, insieme alla formazione che i nostri fotografi danno ai ragazzi, è l’unica spesa viva.

Così facendo gli diamo la possibilità di imparare un lavoro e rivenderselo.  

Succede che il progetto ci piace a tal punto che coinvolgiamo il Ministero della giustizia e insieme firmiamo un protocollo.

Abbiamo lavorato con una comunità di Verona e una di Napoli. Poi abbiamo poi esportato il modello negli Stati Uniti e in Inghilterra.

Abbiamo usato la fotografia come ponte culturale, dove ciò che conta è il punto di arrivo. Un po’ come è successo a Caravaggio che fu un delinquente, assassinò un uomo, visse al di sopra della legge, fu un rissoso, un bad boy, ma riuscì a diventare un’artista usando le sue esperienze forti, il suo quotidiano. Così la fotografia ti permette di sublimare le tue esperienze, cogliendo i momenti, le cose di tutti i giorni.

Che valore ha apportato al sistema (ad esempio clienti finali o stakeholder o collaboratori)?

Questo progetto che ha un grosso impatto dal punto di vista etico-sociale, ha costituito il contributo del team HR alla diffusione del brand Manfrotto, fiore all’occhiello della nostra divisione, soprattutto in ambito social. Questa attività ci ha aiutato ad aumentare quello che noi definiamo il “senso di appartenenza” delle persone.

Che tipo di approccio hai usato? Hai seguito delle intuizioni?

Sono partito da un brief aziendale dove c’era scritto ”individuare un’attività di responsabilità sociale d’impresa, che possa essere replicata in tutta la divisione, quindi anche all’estero, e che possa essere legata al mondo della fotografia”.

Poi mi sono affidato all’intuizione e… all’attimo fuggente.

Se dovessi immaginarlo come un percorso, di quali tappe e di quali persone è fatto?

Il percorso era fatto di:

Conoscenza reciproca tra i ragazzi e le ragazze delle varie comunità e un membro del team HR e proposta

Definizione di un patto tra loro, i tutor della comunità e i fotografi insegnanti

Scoperta e consapevolezza dei propri talenti; impegno e lavoro; sfida e realizzazione del proprio progetto

Valutazione da parte dei fotografi insegnanti e dell’azienda

Premiazione  

Celebrazione e riconoscimento degli sforzi fatti

Qual è stato il momento in cui hai capito che quell’approccio stava funzionando? Puoi descriverlo?

Dal punto di vista sociale, quando ho visto le fotografie fatte da ragazzi che non erano andati oltre Scampia: bellissime, sono rimasto senza parole; lato aziendale: quando i dipendenti si sono commossi alla presentazione del progetto e, dopo la mostra, ci hanno fatto i complimenti.

Cosa o chi ti ha aiutato?

Il mio team, le comunità dalle risorse umane/educative e sociali incredibili, e i fotografi professionisti che si sono messi in gioco al 100% donandosi a questi ragazzi/e.

Ti sei ispirato a qualcuno o a qualche processo organizzativo?

No, ho solo pensato alle esperienze passate fatte con gli stessi attori, ma con progettualità e in ambienti, completamente differenti.

Come ti ha migliorato questa esperienza?

Ha permesso al mio team e a me di affrontare anche momenti difficili a testa alta.

Quali risultati ha portato?

Ha aumentato la visibilità del brand Manfrotto a livello nazionale, allargando la platea dei potenziali clienti oltre che la categoria dei fotografi professionisti.

Più il gruppo è conosciuto più è capace di attrarre talenti.

Ha aumentato anche la coesione tra tutti i dipendenti in un momento di grande cambiamento organizzativo.

Se dovessi spiegare a un bambino cos’è la creatività cosa gli diresti?

È saper giocare con tutti i giocattoli, senza distinzioni tra maschi e femmine, purché ci si diverta tutti insieme.

Completa la frase: l’innovazione è…

Commistione di saperi, capacità di vedere il mondo da una prospettiva diversa cercando di conciliare gli opposti.

Dobbiamo fare come il bufalo nella canzone di F. De Gregori – Bufalo Bill: “…la locomotiva ha la strada segnata, il bufalo può scartare di lato e… cadere…”, l’importante è avere il coraggio di scartare di lato e… cadere.