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09/04/2017

La felicità in azienda non mi convince (del tutto)

Stai notando che anche in Italia si sente sempre più parlare di felicità in azienda? Sembra una cosa bella, ma non mi convince (del tutto) per come viene raccontata, ora ti spiego perché e se ti va, nei commenti, mi dirai il tuo pensiero a riguardo.

Se non lo avessi notato ti informo che ci sono varie proposte consulenziali che offrono percorsi per portare felicità nelle aziende. I titoli di questo offerte citano la felicità come parola chiave, immagino perché immediata e scenografica.

Quando si parla di cultura organizzativa ritengo che le parole che usiamo siano particolarmente importanti e ci tengo a fare questa riflessione ad alta voce.

La felicità è lo stato d’animo (emozione) positivo di chi ritiene soddisfatti tutti i propri desideri.

“Siamo felici nell’attimo fuggente, nel carpe diem del qui e d’ora durante il quale, noi percepiamo di essere fortunati nel godere di una condizione di abbondanza, di ricchezza interiore che in verità, abbiamo meritato per qualcosa abbiamo compiuto di positivo. Si tratta di un’emozione e non di un sentimento.” (Cit. Roberto Pani, specialista in Psicologia Clinica,Psicoterapeuta e Psicoanalista).

In sintesi le emozioni sono stati mentali e fisiologici di breve durata e transitori,
 sono delle reazioni immediate a degli stimoli.

In ambito aziendale trovo di buon senso puntare alla felicità (intesa come soddisfazione) di un cliente esterno che si fidelizzerà e magari scriverà recensioni molto positive sui social media portando un sacco di benefici.

Mi sembra invece riduttivo pensare che in un’organizzazione si possa puntare alla felicità (di tutti), sia perché la felicità di uno può essere in contrasto con quella di un altro (ad esempio nel caso di una promozione), sia perché la felicità è volatile e oscillante. È fisicamente impossibile essere felici per un tempo prolungato ed è controproducente forzare qualcuno a essere felice. Invece:

“il sentimento positivo di buon umore riguarda uno stato d’animo (sentimento) che dura un periodo prolungato nel tempo, cioè riguarda uno stato di benessere, di buona salute che ci fa sentire in forma e vivaci“.

Roberto Pani

 La parola chiave che “metto sul piatto” al posto di felicità è buon umore. Quando si è di buon umore è più facile trovare soluzioni, si è meno reattivi e si è più collaborativi. Essere di buon umore è una scelta consapevole.

Sottolineo che in percorsi aziendali strutturati di cambiamento organizzativo è bene avere come obiettivo il benessere e l’imprenditrice Marina Salamon lo racconta molto bene in un articolo sul Il Sole 24 ore.

È possibile allenarsi al buon umore e scegliere almeno questa componente anche solo a livello personale?

Sì, se penso a me stessa quando per lavoro gestivo da sola un front office abbastanza complesso: avevo scelto di puntare al buon umore visto che dovevo spesso rispondere a reclami, affrontare aspettative non realistiche ed emergenze. Rispondevo di persona e al telefono col sorriso sia perché chi era dall’altro lato (spesso) non aveva responsabilità della complessità che dovevo affrontare ogni giorno, sia perché sapevo che avrei influenzato positivamente l’interlocutore se mi avesse sentita serena e di buon umore.

Il fatto di essermi data questa regola mi ha aiutato anche nella mia vita personale, “semplicemente” lasciavo a casa le mie preoccupazioni: ero focalizzata sul realizzare al meglio le mie mansioni, non perché fossi brava, ma semplicemente perché era funzionale.

[A dirla tutta l’unica cosa negativa mi è stata detta da una persona che ha cercato di mettermi in guardia: “Sembra che tu stia facendo un lavoro facile visto che non ti lamenti e addirittura sorridi”. L’ho preso come un complimento :-)]

Era tutto meno che perfetto ma senza dubbio stavo meglio e le persone confermavano la loro soddisfazione nel lavorare con me. [Come ci ero arrivata? Grazie a conoscenze su neuroscienze, yoga, meditazioni guidate e respirazione consapevole].

Meglio specificare che per favorire il buon umore è importante che ci sia chiarezza:

– di ruoli,

– di flussi comunicativi,

– di obiettivi da raggiungere.

Inevitabilmente anche in un contesto di buon umore diffuso ci saranno comunque momenti di frustrazione dovuta a incomprensioni, a diversi stili comunicativi, a obiettivi personali opposti oppure momenti di stress dovuti a fornitori, clienti o competitor. Il vantaggio è che queste situazioni saranno più facili da gestire e gli strascichi saranno minori.

Giunta in fondo alla riflessione mi rendo conto che potresti dirmi che sto puntualizzando, che si tratta di una questione semantica. Da un lato sono certa che chi propone e desidera che ci siano aziende felici intende quello che intendo anche io quindi potresti avere in parte ragione.

Dall’altro lato se volessi intraprendere un percorso formativo riguardante il benessere aziendale preferirei che mi venissero detto le cose come stanno (e non per come sono più scenografiche) e che fosse definito un obiettivo realmente perseguibile (e senza rischio effetto boomerang).

NB Per completezza aggiungo che la felicità (forzata) nelle organizzazioni sta cominciando a generare problemi.