Quando la produttività è controproducente
Di recente ho letto un articolo in cui ho trovato un’espressione fantastica: “productivity porn” che tradurrei come “ossessione per la produttività”. L’articolo mi ha ispirato una domanda provocatoria: e se l’ossessione per la produttività fosse una trappola? Io stessa avevo già scritto su come affrontare la pila di cose da fare per tornare a dormire sonni tranquilli.
Fuori e dentro la rete proliferano consigli, trucchi e tecniche per essere più produttivi. Di fronte all’overload informativo, la risposta è quella di adottare ancora più strategie di produttività. La tentazione fortissima è quella di stare sempre in guardia, anche fuori dall’ufficio per rincorrere l’ultima app che in qualche modo ci semplificherà la vita, o una parte di essa. Fin qui tutto bene: rendersi conto che ci sono spazi di miglioramento è positivo.
Perché allora non vedo in giro persone con più tempo libero o meno stressate?
Facciamo un passo indietro. La logica è quella di David Allen e del Getting things done (GTD), in base alla quale si può diventare dei maghi della produttività organizzando le cose da fare, anche nel tempo libero, in cartelle e to do list: lavorare di più, più velocemente e più a lungo. L’ossessione per la produttività ha pervaso ogni ambito delle nostre esistenze. Una specie di etica del lavoro e della fatica che non tiene conto che trovare il modo giusto per rendere tutto più semplice, può creare una sorta di dipendenza.
Quanto siamo dipendenti dall’idea di essere abbastanza produttivi? Non sarà che l’ossessione per la produttività altro non è che un modo di procrastinare? La ricerca di strumenti e strategie per essere più produttivi, toglie tempo e voglia al decidersi a fare qualcosa davvero. Il bisogno di macinare cose freneticamente diventa così il primo ostacolo alla propria realizzazione. Ci si concentra più sul comprendere e capire come stare al passo con il sovraccarico di informazioni, usando modi approvati dall’ultimo “guru della produttività”, che sul lavoro in sé. Vantarsi di essere improduttivi è apparentemente controproducente, meglio crogiolarsi nel pensiero di cosa fare dopo, tra una condivisione, un mi piace, un click al posto giusto. Peccato che ci sarà sempre una app migliore, una tecnologia più raffinata, un aggiornamento di sistema che renderà le cose più facili. Peccato però che nessuno meglio di noi, saprà davvero qual è la cosa più importante che ci farà sentire meglio nel ridurre la lista delle cose da fare.
L’essere attivi non è sinonimo del fare progressi! #noproductivityporn — Silvia Toffolon (@SilviaToffolon) 15 Gennaio 2015
L’essere attivi non è sempre sinonimo del fare progressi, non credi? Ecco perché anche l’idea di non fare nulla, è una buona idea (di contro all’ossessione per la produttività). Solo dobbiamo ricordarci come si fa. Oziare non è una parolaccia, così come lasciarsi andare alla pigrizia non è un peccato mortale.
Prendersi del tempo per sé, per riflettere su come vanno le cose non è perdere tempo. Temporeggiare e fare i conti con le proprie paure e insicurezze sono ore spese bene. Entrambe le attività sono orientate al futuro, sembra di non fare nulla, ma non è così.
Smettere di concentrarsi su un progetto concedendosi una distrazione apre un varco alla creatività: una pausa fa bene al corpo, ma anche al cervello che inconsciamente elabora un nuovo punto di vista e una volta tornato al lavoro, una soluzione.
Anche la noia avvicina alla produttività: annoiarci ci motiva ad alleviare quel senso di inutilità in cui ci siamo persi e ricarica le batterie.
Fare non è sinonimo di fatica, ma è un’azione che vira sull’efficacia. Confrontarsi con l’inattività restituisce il peso di ciò che conta davvero, cioè qualcosa di utile, interessante, divertente, non di faticoso.
Il cervello ha bisogno di pause, esattamente come succede ai muscoli quando li sottoponiamo a degli sforzi intensi: tutti i processi di recupero, miglioramento e crescita avvengono durante il riposo, solo così ha il tempo di rielaborare i dati.
Confesso di mettere “in azione” questi cinque consigli, anzi a dirla tutta proprio uno dei segreti della mia creatività è prendermi del tempo per me e lasciarmi andare a un po’ di pigrizia: ho notato che così facendo sono più efficace e più propositiva nelle mie azioni.
È facile prendersi una pausa? No, non lo è più.
Non è facile fare i conti con la propria dipendenza a trovare il modo di rendere tutto semplice. Sfuggire alla trappola di una via migliore mascherata da scorciatoia è una sfida. La buona notizia è che concentrare l’attenzione su quello che abbiamo dentro e non su quello che c’è là fuori ci aiuterà ad allontanare la sensazione di aver fallito, cominciando col mettere tra le cose “da fare” il diritto alla pigrizia.
In fondo essere attivi non è sempre sinonimo del fare progressi e una volta tanto il dolce far niente può essere un grande passo in avanti per usare al meglio le nostre risorse, senza per forza cercarne di esterne.
Grazie Mariela per l’aiuto per il titolo molto azzeccato
Riferimenti http://www.theguardian.com/lifeandstyle/2015/jan/09/five-reasons-we-should-all-learn-to-do-nothing
update: Roland Barthes ne aveva parlato in un’intervista: “Osiamo essere pigri”